L’alleanza pericolosa di Malagò. Altra estate di ripescaggi in C e la sciagurata firma di Moscardelli

28.02.2018 22:17

Davide Moscardelli mentre firma il contratto che lo lega all’Arezzo

Il calcio italiano. Tutto il calcio italiano. Sta diventando sempre più difficile comprendere verso quale indirizzo intende dirigersi. Si, perché dalla “sontuosa” litigiosità dei presidenti della massima serie. Alla “facilità” con la quale alcuni club, in tutte le categorie, “falsano”, a bilancio, i valori delle plusvalenze. Alle inopportune dichiarazioni di Costacurta che, per la nazionale, insiste a parlare di allenatori attualmente sotto contratto con i loro club di appartenenza. A Gigi Di Biagio che “pone” la prima pietra del nuovo ciclo azzurro invitando Buffon a non mollare. Alle difficoltà economiche di alcune società di Serie B (quelle di Avellino e Cesena sono sotto gli occhi di tutti). A quel “bubbone”, di prossima esplosione, che si chiama “affaire” Vibonese. Per finire alle vicende “carnevalesche” che vedono coinvolti un buon numero di club della Serie C. Modena, Vicenza e Arezzo sono soltanto le apripista. Le scadenze di metà marzo apriranno altre “voragini”. Si annunciano deferimenti e penalizzazioni. Le disponibilità di risorse economiche, presso la lega fiorentina, sono minime e ognuno dovrà pertanto impegnarsi con propri mezzi finanziari.

Un’impresa, quest’ultima, che per molti presidenti risulterà titanica.

Tante, come si può notare, sono le patate bollenti che Giovanni Malagò si ritrova tra le mani. In quell’immenso “bailamme”, il rischio che il presidente del Coni possa rimanere scottato è più di una semplice sensazione. Senza dimenticare, in ottica futura, il peso politico del voto del 4 marzo. Dopo quella data, andasse al governo il centrodestra, molti degli equilibri attuali diventerebbero precari. Anche nel calcio.

Malagò, nell’allearsi con i calciatori per arrivare al commissariamento della Federcalcio, potrebbe aver sottovalutato alcuni rischi che derivano da quella decisione. A tre mesi dall’infausta notte del “Meazza”, quando la Svezia eliminò gli azzurri dai mondiali, la nazionale italiana di calcio non ha ancora un idoneo “selezionatore” degno di tale nome. Il ripiego su Di Biagio (a prescindere dalla sue riconosciute capacità) un palliativo. Alcuni top-trainer avrebbero elegantemente già declinato il futuribile invito. “Impauriti”, probabilmente, dalla pochezza tecnica rappresentata dal materiale umano disponibile. Per di più, l’importo a budget federale, per il futuro staff tecnico della nazionale, non sarebbe in grado di soddisfare le richieste economiche degli allenatori italiani più titolati e che vanno per la maggiore.

I rischi, dicevamo. Mettere d’accordo i presidenti di Serie A non sarà facile. Come giungere alle modifiche dello statuto di categoria. La governance. A questo proposito i nomi proposti da Malagò, al suo rientro in Italia, non avrebbero raccolto il necessario consenso dell’assise. I metodi romani (all’Aniene maniera, come scherzosamente li avevamo definiti) non sarebbero stati graditi in via Rosellini. La ripartizione dei diritti televisivi ha aperto una discussione. Si perché quel miliardo e mezzo annuale, di diritti tv, reperito con bandi alla luce del sole (nel commissariamento Tavecchio) dovrà essere ricollocato/ridistribuito con la indispensabile avvedutezza.

I rischi, dicevamo. Derivanti dalle difficoltà di porre in essere riforme adeguate. Idonee alle aspettative del sistema. Perché si è tutti concordi nel dire che il calcio italiano non può permettersi cento club professionistici, ma al tirar delle somme non si riesce mai a trovare la quadra. Individuare un nuovo percorso puntando sulla modifica dei pesi elettorali (dei dilettanti) condurrebbe a un inevitabile fallimento. Il sostegno al calcio italiano è offerto dalla base. Il tentativo di limitarne il valore, alla resa dei conti, risulterebbe controproducente. 

I rischio è, anche, che le aspettative di Malagò si arenino sulla riforma dei campionati. Un tema che coinvolge principalmente la Serie C e i Dilettanti. E’ indispensabile giungere, quanto prima, a un radicale cambiamento strutturale. Tante, troppe le società di Serie C che non reggono il passo finanziario imposto dalla categoria. La selezione è fisiologica. Automatica. Rispettare il format attualmente voluto dalle norme è impossibile. Ridurre il contenitore della Serie C e allestire quella categoria cuscinetto, di cui tanto si è parlato nel recente passato, è divenuto improcrastinabile. Nel contesto è indispensabile il coinvolgimento del legislatore. Per la defiscalizzazione (almeno in parte) degli oneri riflessi e per la concessione di indispensabili sgravi fiscali. Tutto per permettere al sistema calcio di sopravvivere. Puntare sulle squadre B in terza serie (tesi perorata da Tommasi e Calcagno) una “mascherata” senza alcuna possibilità di successo.

Alla luce di quanto sopra è probabile che, per “rimpolpare” l’organico della Serie C, si debba ricorrere ai ripescaggi, anche per la prossima stagione. La riforma dei campionati non potrà arrivare prima del 2019. Lo “recitano” le norme. Il format della Serie C, ancora per una stagione, avrà la possibilità di assestarsi, pertanto, sulle 60 squadre. Si prevede l’applicazione di norme più “stringenti” per il rilascio delle licenze nazionali. Gravina ha proposto l’osservanza di un rating oltremodo severo. Prevede, tra l’altro, un controllo più accurato sulla solvibilità e sulla sostenibilità dei club. Tra le carenze infrastrutturali di alcuni e le difficoltà economiche di altri potrebbe accadere che dalle 56 unità attuali ci si ritrovi, in estate, con un organico contenuto in una “forbice” tra 44/48 squadre.

La curiosità si sofferma sulla posizione che intenderà al proposito assumere il sindacato calciatori (Tommasi) che ha individuato nel percorso fallimentare delle società in carenza finanziaria, la salvaguardia degli interessi dei propri assistiti. Una procedura che abbatte la massa debitoria del fallito, ma impone l’obbligo, a chi subentra, di rispettare gli accordi economici in essere con i calciatori. 

I rischi per Malagò, dicevamo. Anche quello di ritrovarsi a proteggere il conflitto di interessi, palese, di chi voleva andare a presiedere la Federcalcio e ora si schiera a tutela dell’indifendibile pretesa dei calciatori. 

Perché? Scusate l’eufemismo, ma viene spontaneo chiedersi cosa stesse pensando Moscardelli nel momento in cui poneva la sua firma sul contratto che lo legava all’Arezzo. Perché? Vi chiederete. Perché anche San Donato (mi venga perdonata la menzione sul patrono) sapeva che i “mali” in cui si dibatteva la società toscana avevano origini precedenti e lontane!

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