Malagò non ‘costruisce’. Gravina testa la base. Armonia, unica cura per il calcio

I ‘Graffi sulla... C’ di Vittorio Galigani

30.11.2017 03:39

Giovanni Malagò, presidente del Coni

Il calcio italiano non ha bisogno di “sapientoni”. Non ha bisogno di primi della classe. Non ha bisogno di confronti e “battute”, pubbliche, a distanza. Ne va della credibilità di tutto il sistema. Di tutto lo sport italiano, considerati gli attori protagonisti. Il calcio italiano non sente il bisogno che gli vengano imposte scelte, di natura prevalentemente politica, prendendo a pretesto i recenti insuccessi della squadra azzurra e l’eliminazione dai mondiali in Russia. 

Giovanni Malagò sta ponendo in essere una aggressione mediatica, quotidiana, alla struttura generale del calcio. Colpendo in primis i vertici della Figc e a pioggia tutte le altre componenti. Da capo dello sport nazionale, ove in passato non avesse condiviso talune scelte e strategie sarebbe dovuto intervenire. Con idee e suggerimenti. Ne aveva facoltà e diritto. Non lo ha mai fatto. Risulterebbe invece che tutte le scelte sarebbero state prese all’unanimità. Con il suo consenso. Condivise. Compresa quella, malaugurata ed a posteriori criticabile, di Gian Piero Ventura.

Una poltrona che ingolosisce (molto) quella dell’ultimo piano di via Allegri. Un fascino al quale, evidentemente, anche il presidente del Coni non risulta essere indifferente/disinteressato. La sua fretta di pronunciarsi sul commissariamento della Federcalcio, una ipotesi che, nella fattispecie attuale, non è contemplata dalla statuto del “palazzo” (nel merito Malagò ha dimostrato di non essere preparato), lascia spazio a interpretazioni politiche che nulla hanno da “spartire” con il mondo dello sport.

Le componenti del calcio, facendo finalmente fronte comune, non stanno concedendo sponda alle esternazioni di Malagò. Si oppongono, anzi, con decisione. Del resto il buon lavoro svolto dai commissari (Tavecchio in testa) in Serie A, con la modifica allo statuto, l’approvazione dei nuovi criteri informatori, la realtà di voler trovare, a breve, l’accordo sulla nuova governance e la recente nomina di Mauro Balata a presidente della Serie B, certifica la volontà, presente in tutti, di uscire quanto prima dalla crisi.

Serie C dei dolori. Nel presente. Presidenti in crisi. Scappano in diversi. Mai tanti cambi di proprietà, simultanei, come in questo periodo. Si auspica l’onorabilità e la solvibilità delle “new entry”. Spifferi di corridoio annunciano purtroppo il ritorno in sella, in alcune piazze, di personaggi dal recente tumultuoso passato sportivo. Serie C dei dolori abbiamo detto. Le prime penalizzazioni per inadempienze relative alla scorsa stagione hanno già cambiato i verdetti del campo. Si attendevano da tempo. Caliendo, anche se è stato cancellato dalla mappa del calcio, si è beccato ben 10 mesi di squalifica. Dalla stagione in corso sono in vigore nuove norme. Chi non paga stipendi e contributi nel rispetto dei termini subirà sanzioni più severe. Due punti per ogni mensilità non onorata. Alcuni club avrebbero incontrato difficoltà già in riferimento al primo bimestre. Facile la previsione di una falcidia per fine stagione. L’obbligo di bilanci certificati. Il divieto di deroghe agli impianti. I nuovi criteri informatori. Forche Caudine, maglie strette che provocheranno inevitabili tagli al format attuale.

Su Avellino e Catanzaro, deferite nei giorni scorsi per responsabilità diretta in relazione ad un tentativo di illecito attuato nel 2013, pende una spada di Damocle con una lama particolarmente affilata. Rischiano entrambi i club provvedimenti pesanti/drastici, meglio, al proposito, non spendersi in previsioni.

Come è meglio non dilungarsi sull’ipotesi, peregrina, avanzata da qualche presidente che prevede l’appannaggio di circa due milioni di euro, a stagione, per ogni club. Fantasia allo stato puro. In considerazione che proprio nei giorni scorsi Malagò ha annunciato (con toni di compiacimento) un ulteriore taglio (2,6 milioni di euro) ai proventi attribuibili al calcio.

In Serie C è stata convocata, per la fine di novembre l’assemblea delle Società. All’ordine del giorno, oltre all’approvazione del nuovo statuto, in linea con i nuovi criteri informatori approvati dalla Federcalcio ed alla approvazione del bilancio al 30 giugno 2017, il consueto intervento del presidente. Gabriele Gravina in ossequio alla sua consueta linea comportamentale si presenterà dimissionario. Del resto la aveva annunciato a più riprese. Lascerà l’assise libera di decidere se accettarle o proseguire in quel percorso iniziato, con lui, nel dicembre del 2015. Una verifica, una cartina di tornasole necessaria. La decisione di Gravina è coerente e rispettosa dei “desiderata” della base nella quale, lui stesso, avrebbe recentemente avvertito qualche scricchiolio dovuto alle infelici interpretazioni dei “soliti” scontenti per indole e natura. Quelli con la pentola “brontolona” sempre in ebollizione. Una doverosa verifica, appunto, perché difficilmente i club metteranno in discussione la sua posizione ed i progetti con lui elaborati negli ultimi due anni.

Il futuro del calcio italiano. E’ nella mani delle componenti. Inevitabilmente. In sede di campagna elettorale alla presidenza della Federcalcio, ci sarà da valutare la composizione e gli sviluppi in seno alla Lega Nazionale Dilettanti. Il suo schieramento, come nel passato, potrà risultare determinante. Riprendendo un concetto espresso da Tavecchio e felicemente ripreso da Cosimo Sibilia la soluzione  a tutti i problemi attuali è racchiusa in una sola parola. Armonia.

L’armonia nel lavoro espressa/applicata in un tavolo istituzionale. Dove deve prevalere il rispetto per il contributo offerto, in idee e progetti, da ogni componente. In ogni settore e categoria. Con uno scopo comune. Senza dover ascoltare il parere dei “sapientoni” o dei primi della classe.

Perché, da che tempo è tempo, proprio quelli si sono sempre rivelati, all’atto pratico, dei gran “secchioni”.

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