Paolo Ischio: 'Il calcio come arte del gioco...'

Calcio Varie
Redazione
15.05.2018 19:16

Dal Portogallo, alla Spagna all’Italia: viaggi per amore del calcio quelli fatti dall’ex tecnico del Sava che parla delle sue teorie calcistiche e dell’amore che lo lega a questo sport…: “Parlare di calcio e trovare il modo migliore di “metterlo” in campo, è, per un allenatore, come imbattersi in una grande mareggiata, con il pericolo di essere travolto dalle acque, ma anche con la consapevolezza di vivere un’esperienza unica, irripetibile, sapendo, a priori, di voler assaporare emozioni che, in un modo o in un altro, rimarranno incise nella nostra mente e che poi chiameremo “esperienze”. Perché il calcio è tutto ed il contrario di tutto, il cosciente e l’incosciente, organizzazione e disorganizzazione. È un “fenomeno” complesso, caotico, caratterizzato da una grande aleatorietà, impossibile da governare completamente, ma che cerchiamo di controllare. Ma perché? E come?

“Perché cerchiamo di dare la nostra “impronta”, così come facciamo con la nostra vita, nella consapevolezza di indirizzarlo verso la strada “maestra”, in alcuni casi da noi ritenuta “unica”, per raggiungere quanto desiderato. Come? Con le nostre idee!!!! E quest’aspetto è, per un allenatore, quello più affascinante, quello che ci fa “consumare” il nostro tempo nell’intento di dare la nostra interpretazione e il nostro punto di vista al fenomeno calcio, dove disordine e ordine, quiete apparente e stati di “convulsione” totale si alternano e si susseguono in modo non sequenziale e non lineare. E qui si innescano le varie scuole di pensiero e metodologie”.

“È mia opinione che un allenatore debba essere l’ideatore e rappresentare “il direttore dei lavori” di un grande "progetto di gioco", dove per gioco intendo “il modo di giocare”, aperto ad evoluzioni e modificazioni continue, basato su concetti di gioco che guidino la squadra nelle diverse fasi in modo da creare dei comportamenti collettivi, e di riflesso individuali, affinché la squadra (l’insieme) assuma una “forma” riflessa nelle parti (giocatori) che la compongono.  In questa modo questo sistema complesso (squadra) sviluppa interazioni intenzionali conosciute da tutte le parti che lo costituiscono al fine di ottenere un’identità ben definita, che io chiamo “carta di identità della squadra”.

“Di conseguenza, la valutazione delle prestazioni della squadra diventa di tipo qualitativo, e non più legata esclusivamente al risultato, seppur importante, perché solo costruendo un gioco, un modo di giocare, una forma di gioco intesa come “arte”, di "qualità", la performance della squadra si attesta costantemente, e senza oscillazioni, in quanto si allena il gioco in specificità e nel suo complesso, su livelli eccelsi”.    

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