Teatro: "Matti da slegare", divertimento senza troppe pretese

CRONACA
Francesco Caroli
26.02.2017 22:13

Venerdì 24 febbraio è andata in scena al Teatro Orfeo “Matti da Slegare”, commedia interpretata da Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta per la regia di Gioele Dix, riadattamento teatrale della sceneggiatura norvegese “Elling og Kjell Bjarne” del 1999. Il titolo gioca un po’ sulla trama della pièce, che vede i due protagonisti – nella versione italianizzata – Elia e Gianni (rispettivamente Iacchetti e Covatta) che, dopo anni di convivenzainternati in un istituto psichiatrico, vanno a vivere assieme in una casa concessagli dal comune. È qui che i due inizieranno a fare i conti con il proprio disagio nei confronti della vita, non riuscendo a interagire, almeno all’inizio, con nessuno che non sia la Franci, l’assistente che li segue nel programma di reinserimento.

Elia è forse quello della coppia apparentemente “normale”, anche se preda di piccole manie e ansie che ne minano l’equilibrio psicologico; maniaco delle pulizie, si scopre poeta in un momento di solitudine e sarà questo il suo modo di fuggire dalla (amara) realtà. Più ragionevole del coinquilino, Gianni, completamente esternato dal mondo circostante e sessualmente frustrato a causa della mancanza di rapporti con donne nella sua vita; frustrazione sulla quale verranno costruite gran parte delle battute e delle gag, ma che, nello snodarsi della storia, rischiano di diventare ripetitive, a tratti patetiche. 

Nulla da ridire sull’interpretazione; i due attori prestano i loro volti e la loro abilità sul palco anche in maniera brillante; bravissimo Iacchetti a manifestare il disagio di certe situazioni di Elia attraverso tic e movimenti incondizionati della faccia e degli arti. Anche Covatta riesce a muovere con genio il personaggio di Gianni, rendendone lampante l’inadeguatezza al mondo e ai rapporti sociali. L’esperienza dei due interpeti giova moltissimo alla commedia, venendo sottolineata da un paio di battute improvvisate a tema Ilva, che hanno lasciato tutti piacevolmente colpiti. Inoltre la recitazione delle due attrici, nelle parti secondarie de la Franci (Irene Serini) e Rita (Gisella Szaniszlò), non lascia affatto delusi, tenendo anche conto della poca profondità che si è voluta dare ai loro personaggi.

Salta all’occhio la scelta cromatica della scenografia; dai vestiti dei personaggi al colore delle pareti, dei mobili e del pavimento dell’appartamento riprodotto: un monocromatico chiaro e piatto, che trasmette una sensazione di apatia e staticità; sentimenti dai quali cercano di scappare i protagonisti della commedia, combattuti tra la confortante monotonia del loro nuovo appartamento e il bisogno di uscirne, affacciandosi su un mondo che li spaventa. Unico elemento di contrasto alcuni capi d’abbigliamenti dei personaggi, come le giacche della Franci o i calzini di Elia, utili a dare vivacità alla scena: una via di fuga visiva dal piattume che circonda il palco.

La vera pecca restano i dialoghi e le varie gag, ideate per un pubblico troppo adulto e poco esigente; una comicità datata, che nel 2017 trova davvero poco spazio se non in programmi mediocriideati per un target che difficilmente può estendersi e raggiungere ogni tipo di spettatore. La sensazione è quella che, con una regia diversa, si potesse ottenere un risultato sopra la media. Prendendo in considerazione l’eccellente qualità della sceneggiatura originale (candidata all’Oscar nel 2002), sarebbe bastato un riadattamento più vicino alla comicità per come si è evoluta ai nostri giorni. Invece, sembra un déjà vu di una qualsiasi commedia italiana degli anni ’90.

Uno spettacolo nella media, con alcuni buoni spunti e punti di forza, che riesce nell’obbiettivo di divertire il suo pubblico, senza però la pretesa di essere ricordato come un must see.

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